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Visualizzazione dei post da aprile, 2025

Fruitvale Station (2013) – Ryan Coogler

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Il debutto di Ryan Coogler è una pugnalata che arriva senza preavviso, anche se già sai come va a finire. Fruitvale Station racconta l’ultima giornata di Oscar Grant, ragazzo afroamericano ucciso dalla polizia nella notte di Capodanno 2009. Un film che non urla, ma colpisce più forte proprio perché sceglie l’intimità, i piccoli gesti, la quotidianità. Michael B. Jordan è pazzesco: rende Oscar vero, vivo, pieno di contraddizioni, amore, voglia di cambiare. E quando arriva quella scena finale, devastante e silenziosa, non puoi fare altro che restare lì, con il cuore stretto. Coogler filma con umiltà e rabbia, ma senza retorica. Sembra già sapere che il suo cinema nascerà da questo: dal mettere l’umano al centro, sempre. Un film imprescindibile. E una promessa mantenuta. Fruitvale è anche un esempio perfetto di cinema indipendente impegnato che non scivola mai nel didascalico. Un’opera ancora attuale oggi, simbolo dell’urgenza del Black Lives Matter. Breve (85 minuti), ma incanc...

Prisoners (2013) – Denis Villeneuve

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Un thriller denso come un temporale, diretto con una calma inquietante da Denis Villeneuve. Prisoners è il classico esempio di film che prende una premessa “da genere” (bambine scomparse, genitori disperati, detective tormentato) e la trasforma in qualcosa di cupo, profondo, quasi esistenziale. Hugh Jackman urla, piange, spacca lavandini, ma sotto la rabbia c’è il volto della paura. Gyllenhaal, invece, è tutto trattenuto: tic nervosi, occhi che scrutano. Il loro scontro silenzioso regge il film come due colonne di tensione. Roger Deakins firma una fotografia che sembra sempre sul punto di collassare: grigia, sporca, immobile. Più che un giallo, sembra un viaggio nella nebbia morale dell’America. La colonna sonora firmata da Jóhann Jóhannsson è discreta ma devastante: entra dove le parole non arrivano. Prisoners ha lanciato Villeneuve nel cinema americano e influenzato una nuova generazione di thriller cupi e autoriali. È anche uno dei pochi film recenti capaci di combinare ten...

Sinners (2025) – Recensione

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Ryan Coogler torna con Sinners , un'opera folgorante che riscrive le regole del cinema di genere. Ambientato nel Mississippi segregato degli anni '30, il film segue la storia di Smoke e Stack, due gemelli che cercano di costruirsi una vita aprendo un locale blues in una comunità lacerata dal razzismo. Ma in quella terra intrisa di dolore, qualcosa di più oscuro si annida tra gli uomini: vampiri che si nutrono delle anime, prima ancora che del sangue. Sinners è un'esperienza unica: Coogler mescola horror, musica e dramma sociale con una naturalezza che lascia senza fiato. La regia è tesa e vibrante, capace di catturare la polvere nell'aria come il battito spezzato del cuore dei suoi personaggi. Il Mississippi di Sinners è un luogo allucinato, quasi magico, dove il dolore collettivo diventa una maledizione viva. Michael B. Jordan, nel doppio ruolo dei gemelli, è semplicemente straordinario: riesce a differenziare i due personaggi con piccoli gesti, sguardi, sfumatur...

Oppenheimer (2023) – Recensione

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Con Oppenheimer , Christopher Nolan firma il suo film più complesso e denso. Un'opera monumentale che racconta la nascita della bomba atomica, ma ancora di più il peso morale che schiaccia chi l’ha creata. La struttura narrativa è frammentata e stratificata: salti temporali, punti di vista multipli, colori che cambiano (bianco e nero per il "fatto", colore per il "punto di vista"). Nolan costruisce un mosaico di memoria, colpa e gloria, dove ogni pezzo trova posto solo nel finale. Cillian Murphy è straordinario: il suo Oppenheimer è fragile, geniale, divorato dal senso di responsabilità. Il cast attorno a lui regge il peso di una storia così travolgente, ma è la sua performance il vero cuore del film. Tecnicamente, è un film costruito come un orologio pronto ad esplodere: montaggio serrato, suono assordante, musica di Ludwig Göransson che spinge la tensione al massimo. Nolan sceglie di evitare la CGI anche nelle scene più spettacolari, aumentando l'impa...

The Northman (2022) – Recensione

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The Northman è un viaggio selvaggio e viscerale nella vendetta. Robert Eggers costruisce un’epopea brutale, cruda e visivamente straordinaria, affondando le mani nel mito norreno e nel sangue. La storia di Amleth è semplice: un principe che vede il padre ucciso dallo zio e giura vendetta. Ma Eggers non si accontenta di un racconto di formazione o di un revenge movie classico: il film scava nel mito e nella follia umana, trascinando lo spettatore tra rituali ancestrali, battaglie all’ultimo respiro e allucinazioni sciamaniche. La regia è magnetica: la macchina da presa segue l’azione con precisione, con sequenze dirette e brutali, senza fronzoli. La fotografia sporca e i paesaggi desolati scolpiscono un mondo dove la natura è indifferente e l’uomo è solo un frammento in balia degli dèi. Alexander Skarsgård è perfetto nel ruolo di Amleth: un corpo trasformato in strumento di vendetta, ma con occhi che ancora raccontano dolore e rassegnazione. The Northman non è un film che cerca ...

Dal tramonto all'alba – Recensione

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Dal tramonto all'alba è uno di quei film che, a prima vista, ti fa pensare di essere davanti a un thriller/crime quasi normale, ma che, in un colpo di scena al confine tra l’assurdo e il geniale, ti catapulta i n un horror sanguinolento e fuori di testa. Una transizione radicale che sfida ogni convenzione, creando un mix esplosivo di generi. La trama inizia in modo relativamente semplice: i fratelli Gecko, Richard (George Clooney) e Seth (Quentin Tarantino), sono due criminali in fuga verso il Messico dopo una rapina. Durante il loro viaggio, prendono in ostaggio una famiglia e si rifugiano in un locale notturno, il Titty Twister. Ma proprio quando pensi che il film stia seguendo una tipica rotta da thriller, il mondo cambia radicalmente. Da un momento all’altro, il locale si trasforma in un’arena infestata da creature mostruose, e ciò che sembrava un semplice film di rapina diventa un'orgia di sangue, caos e creature sovrannaturali. Rodriguez riesce a mantenere il ritmo a...

Natural Born Killers Recensione

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Un pugno in faccia alla TV, al cinema, all’America. Stone non dirige, ma crea un’orgia visiva . Montaggio epilettico, formati che cambiano, dialoghi che ti entrano nella testa come una lancia: un flusso costante di immagini disturbanti e provocazioni. Una satira nera, nerissima, che trasforma due killer in celebrità, e la violenza in spettacolo. Mickey e Mallory sono Bonnie & Clyde nel mondo post-MTV. Non si tifa per loro, ma non li si dimentica. È un film che fa male. Ma in quel dolore c’è lucidità. Quasi una profezia. Pazzi? Forse. Ma il mondo intorno è molto peggio. Mickey e Mallory sono due facce della stessa medaglia, una coppia che sfida la morte e la società, ma si perde nel mito di se stessa. Tarantino, con la sua scrittura esplosiva, dà una voce affilata ai protagonisti, che sembrano usciti da un altro suo mondo, ma sono, al contempo, vittime di un sistema che li divora. La sceneggiatura è un turbine di parole e violenza, un’eco del suo approccio unico alla nar...

The Doors Recensione

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Un film che non racconta Jim Morrison: lo incarna . Kilmer è posseduto, letteralmente. Non un'imitazione: è lui. Il poeta rock, l’angelo maledetto, lo sciamano autodistruttivo che danza con la morte. Stone non gira un biopic, ma un viaggio psichedelico, delirante e viscerale. La macchina da presa non è solo uno spettatore, è immersa nel caos che si sta scatenando. Ogni movimento, ogni inquadratura ti trascina dentro il trip che prende forma. Il montaggio sembra provenire da una mente in espansione, le luci bruciano e il ritmo è incessante. Non c'è moralismo. Solo caos, musica, dannazione. Eppure, nel mezzo di tutto questo, si sente il cuore: quello malato di un’epoca e quello di un ragazzo che cercava di volare un po’ più in alto degli altri. Morrison non è solo un poeta, ma la voce che cerca una via di fuga dal conformismo dell’America degli anni '60, finendo per bruciarsi nel tentativo. The Doors è un urlo di ribellione che va oltre la musica, e che porta inevitabilme...

True Detective – Stagione 1 (2014)

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Una detective story che si traveste da thriller investigativo ma si rivela qualcosa di molto più profondo. Una spirale oscura che scava nella psiche di due uomini e nel cuore malato dell’America del Sud. Rust Cohle (McConaughey) e Marty Hart (Harrelson): due facce dello stesso disincanto. Un filosofo nichilista con lo sguardo perso nel vuoto e un poliziotto “normale”, ma solo in apparenza.  Il caso dell’enigmatico Yellow King è solo un pretesto. La vera indagine è quella sull’identità, sul tempo, su Dio, sull’esistenza. E sul male.  Quello vero, quello che ti guarda e sorride. Fukunaga dirige con mano ferma: atmosfere soffocanti, luce che taglia, paludi dense, quasi fuori dal tempo. Ogni dettaglio è carico di simbolismo. E quel long take alla fine del quarto episodio è da cineteca pura, roba da stare in piedi ad applaudire davanti alla TV. La scrittura di Pizzolatto a volte gira a vuoto, si compiace, ma in certi momenti sfiora la trance: ipnotica, disturbante. “Il tempo è un ...

True Romance – Recensione

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Un Tarantino scritto ma non diretto, e si sente. True Romance è un mix perfetto di pulp e stile Tony Scott: luci al neon, ralenti, fumo e una violenza intrisa di romanticismo. La sceneggiatura è esplosiva, una dichiarazione d’amore al cinema stesso, dove ogni personaggio parla come se fosse l’ultimo giorno della sua vita. È un film di fughe e sangue, baci e proiettili, dove l’amore è una miccia accesa. Christian Slater e Patricia Arquette sono perfetti: lui, un cowboy urbano perso tra fumetti e kung fu; lei, una call girl fragile e incredibilmente leale. Insieme sono un piccolo Bonnie & Clyde degli anni ’90, travolti da un destino più grande di loro. Il cast attorno a loro è assurdo: Pitt strafatto sul divano, Walken e Hopper in uno scambio da antologia, Oldman irriconoscibile e demoniaco. È cinema che vive di momenti iconici, quasi slegati ma che funzionano insieme come un sogno febbrile. Non tutto è perfetto: Scott smussa gli eccessi tarantiniani, cercando un equilibrio tra r...

Dune: Part Two – Recensione

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Villeneuve chiude il cerchio e alza l’asticella. Dune: Part Two è un’esperienza sensoriale, politica e mitologica, un’opera che non chiede il tuo tempo: lo prende, senza più esitazioni. Due ore e mezza in apnea nel deserto di Arrakis, tra visioni mistiche, vendette profetiche e sabbie che divorano eserciti. Se la prima parte era il prologo, qui c’è l’ascesa: di Paul, del mito, del culto. E c’è la caduta, morale e personale, in un finale che gela il sangue. Chalamet cambia volto: da predestinato tormentato a figura messianica inquietante. Va avanti per ciò che ha perso, più che per ciò in cui crede. Zendaya ha finalmente il ruolo che meritava, austera e fragile. Austin Butler è truccatissimo, spiritato, disturbante. Ci sono momenti che sfiorano l’horror, nel cuore dello spazio. Florence Pugh e Christopher Walken osservano silenziosi, come spettri dell’Impero. E Rebecca Ferguson? Semplicemente inquietante. La regia è precisa, monumentale: Villeneuve non insegue lo stupore, lo or...

Queer – Recensione

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Luca Guadagnino prende la storia scritta da William Burroughs e ci tira fuori un film disturbante, languido, lento come una sigaretta che si spegne da sola. Queer non racconta una storia vera e propria: è più un delirio, un’ossessione. Ed è proprio lì che funziona. Daniel Craig è irriconoscibile. Il suo William Lee è un uomo spaccato in due, che gira per la Città del Messico degli anni ’50 senza sapere cosa sta cercando. Poi incontra Eugene (Drew Starkey), un giovane ex-soldato, e gli parte la fissa. E tutto il film gira intorno a questa tensione strana, ambigua, tossica. Craig è mostruoso. Starkey regge il gioco con un’espressione fissa tra il glaciale e l’inconsapevole. La fotografia di Mukdeeprom è da paura: colori sbiaditi, luce fioca, tutto marcio e affascinante. E la colonna sonora di Reznor e Ross non invade mai la scena, ma si insinua piano, pulsa sotto pelle come un’ansia sottile. L’ultimo brano, Vaster Than Empires , è un colpo secco al cuore: malinconico, ti lascia lì, ...

The Penguin – Recensione

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Non so da dove partire se non da Colin Farrell. Il suo Oswald ' Oz ' Cobb è semplicemente mostruoso. Si mangia tutto e tutti. Dimenticate il pinguino grottesco e teatrale di Batman Returns : qui c'è un uomo, uno che ha sofferto, uno che vuole prendersi tutto. È umano, brutale, malinconico. Una bomba a orologeria. The Penguin si piazza una settimana dopo The Batman , ma non è uno spin-off qualsiasi. È una storia di potere, di ambizione, di solitudine. Gotham è ancora lì, marcia fino al midollo, e stavolta la vediamo dal basso, dal punto di vista di chi vuole scalarla, un gradino alla volta. La serie gioca con i toni del gangster movie e funziona. Ci sono echi di I Soprano , un po’ di Il Padrino , e anche un tocco tragico alla Scarface . E Farrell si mangia lo schermo. Il make-up fa metà del lavoro. L’altra metà ce la mette lui: sguardi, silenzi, esplosioni improvvise. Ti fa quasi tenerezza, poi ti ricordi che è uno psicopatico. Cristin Milioti nei panni di Sofia Falc...

Kinds of Kindness – recensione

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Kinds of Kindness è un trittico dell’assurdo: tre storie diverse, stesso cast, stesse inquietudini. Lanthimos costruisce un film spietatamente geometrico, claustrofobico e freddo, dove ogni gesto sembra programmato, e ogni emozione soffocata sotto strati di controllo. Non c’è una vera trama che ti prende, ma un gioco malato sui temi dell’obbedienza, del libero arbitrio, dell’identità. Il primo episodio è il più incisivo , un incubo kafkiano spinto fino all’estremo. Gli altri due perdono potenza, ma mantengono il tono surreale e disturbante. Il cast , guidato da un Jesse Plemons superbo, tiene in piedi l’esperimento. Emma Stone è sempre magnetica, Willem Dafoe inquietante anche solo respirando. Ma alla lunga il gioco si ripete, e il film gira un po’ a vuoto, più interessato a disturbare che a emozionare . Lanthimos stavolta non cerca la favola grottesca ( Poor Things ), ma la distorsione totale della realtà. È interessante, ma anche respingente. Rimane qualcosa? Forse il disagio...

Whiplash – recensione

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Un film che urla, suda, e non si ferma finché non hai il fiatone pure tu. Whiplash è una battaglia psicologica mascherata da storia di formazione, un duello tra maestro e allievo che diventa uno scontro all'ultimo respiro , montata al ritmo di piatti che schioccano come fruste e dita sanguinanti. Chazelle gira con una tensione da thriller e l’energia di un concerto jazz, e non fa sconti: qui il talento non basta, serve ossessione. La regia è dinamica, il montaggio frenetico, e la musica – da Caravan a Whiplash , fino al clamoroso assolo finale – ti trascina, ti investe, ti schiaccia. Miles Teller regge bene il peso del ruolo, ma J.K. Simmons è fuori scala: feroce, magnetico, spaventoso. Il finale è un colpo di batteria dritto allo stomaco. Senza una parola. Solo musica, sguardi e sudore. E quando arriva il buio, resti lì con il cuore che batte troppo forte. Voto: 9/10

La città proibita – recensione

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Mainetti torna e si diverte. Ma non solo lui. La città proibita è un film libero, fuori dagli schemi, fuori dal tempo. Un pasticcio? No, un’orgia controllata di generi, colori e trovate. E se a tratti sembra troppo, lo è apposta. Siamo lontani dal realismo, e pure dal cinecomic. Questo è teatro, è opera buffa, gioca con trovate ironiche e si traveste da western all’italiana . Mainetti mette tutto in scena con consapevolezza, come un bambino che gioca con l’action figure ma ha studiato i classici. Il film ha ritmo, ha stile, e ha una sua idea precisa di cinema. Tra Leone e Tarantino, ma anche tra Monicelli e Tsui Hark. Il rischio era il caos, ma alla fine tutto torna: ogni eccesso è calcolato, ogni battuta è consapevole. Non tutto funziona, ma niente è lasciato al caso. Il cast è scatenato, gli stunt sono veri, la messa in scena è tutta pensata. Le sequenze di combattimento all’inizio, prima che compaia il titolo, sono già un manifesto d’intenti. E durante il film, tornano più vo...

Recensione – The Batman

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Matt Reeves prende il Cavaliere Oscuro e lo trascina in un noir piovoso, sporco, cupo. The Batman è un'indagine lenta, tesa, tutta immersa nell’ombra. Non è un film di supereroi classico: è più vicino a Zodiac che a Avengers . Gotham è una città marcia, decadente, dove ogni cosa sembra sul punto di crollare. Robert Pattinson è un Batman tormentato, che parla poco e osserva tanto. Il suo Bruce Wayne non è il solito playboy milionario: è un ragazzo distrutto, segnato, incastrato in una missione che lo consuma. Funziona, perché il film racconta proprio questo: la rabbia, la vendetta, il dolore. E la lenta scoperta che non basta picchiare per cambiare le cose. La regia è solida, mai esagerata. Ogni inquadratura è ragionata, costruita con precisione . Il film si prende il suo tempo. Non ha fretta, ti porta dentro passo dopo passo. La fotografia è un incubo bellissimo: rossi, neri, luci al neon, pioggia che scende costante. E poi c’è la colonna sonora: il tema musicale di Giacchino m...

Recensione – Tenet

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Christopher Nolan ci riprova con il tempo, e questa volta fa le cose in grande. Tenet è un film che ti prende a calci, ti fa girare la testa e ti lancia in un vortice di azione e paradossi temporali. Non è facile da seguire, e in realtà non è nemmeno pensato per esserlo. L’importante non è capire tutto, ma lasciarsi trasportare. La trama ruota attorno a un agente (John David Washington) che deve fermare un complotto mondiale in grado di distruggere la realtà come la conosciamo. Il tempo si inverte, la causa e l’effetto si confondono, e in mezzo ci sono battaglie spettacolari e fughe da mozzare il fiato. A un certo punto, il tempo va avanti e indietro contemporaneamente. Letteralmente. Tenet , però, non è solo un giocattolone visivo. È un film che riflette sull’idea di controllo: su ciò che possiamo governare e su ciò che ci sfugge completamente. Nolan costruisce tutto come un meccanismo perfetto, freddo ma affascinante. La regia è pulita, precisa. L’azione è spettacolare e gira tutt...

Recensione Interstellar

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Christopher Nolan è andato nello spazio, ma non per cercare alieni o guerre galattiche. È andato là dove si incontrano la scienza e la perdita, la relatività e l’amore, i buchi neri e quelli nell’anima. Interstellar è uno di quei film che ti si piantano dentro. Una space opera umana, una storia che parte dalla polvere delle campagne americane e arriva oltre le stelle, mentre noi stiamo lì, con Cooper, a cercare di capire come si fa a salvare il mondo senza perdere chi si ama. È un film che guarda alle stelle e finisce per parlare dei legami più terrestri: quelli tra un padre e una figlia, tra l’uomo e la sua casa, tra il tempo e l’amore. E lo fa senza perdere mai di vista le emozioni. Quelle vere. Quelle sporche. Quelle che fanno male. Matthew McConaughey fa il botto: "Murph..." pronunciato con la voce rotta vale tutto il film. Visivamente, è un’esperienza galattica. Nolan e Hoyte van Hoytema scolpiscono pianeti che sembrano dipinti da Dio, e Zimmer ti prende e ti tr...