Kinds of Kindness – recensione


Kinds of Kindness è un trittico dell’assurdo: tre storie diverse, stesso cast, stesse inquietudini. Lanthimos costruisce un film spietatamente geometrico, claustrofobico e freddo, dove ogni gesto sembra programmato, e ogni emozione soffocata sotto strati di controllo.

Non c’è una vera trama che ti prende, ma un gioco malato sui temi dell’obbedienza, del libero arbitrio, dell’identità. Il primo episodio è il più incisivo, un incubo kafkiano spinto fino all’estremo. Gli altri due perdono potenza, ma mantengono il tono surreale e disturbante.

Il cast, guidato da un Jesse Plemons superbo, tiene in piedi l’esperimento. Emma Stone è sempre magnetica, Willem Dafoe inquietante anche solo respirando. Ma alla lunga il gioco si ripete, e il film gira un po’ a vuoto, più interessato a disturbare che a emozionare.

Lanthimos stavolta non cerca la favola grottesca (Poor Things), ma la distorsione totale della realtà. È interessante, ma anche respingente. Rimane qualcosa? Forse il disagio. O la domanda: quanto siamo davvero liberi?

Voto: 7/10

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