True Detective – Stagione 1 (2014)


Una detective story che si traveste da thriller investigativo ma si rivela qualcosa di molto più profondo. Una spirale oscura che scava nella psiche di due uomini e nel cuore malato dell’America del Sud.

Rust Cohle (McConaughey) e Marty Hart (Harrelson): due facce dello stesso disincanto. Un filosofo nichilista con lo sguardo perso nel vuoto e un poliziotto “normale”, ma solo in apparenza. Il caso dell’enigmatico Yellow King è solo un pretesto. La vera indagine è quella sull’identità, sul tempo, su Dio, sull’esistenza. E sul male. Quello vero, quello che ti guarda e sorride.

Fukunaga dirige con mano ferma: atmosfere soffocanti, luce che taglia, paludi dense, quasi fuori dal tempo. Ogni dettaglio è carico di simbolismo. E quel long take alla fine del quarto episodio è da cineteca pura, roba da stare in piedi ad applaudire davanti alla TV.

La scrittura di Pizzolatto a volte gira a vuoto, si compiace, ma in certi momenti sfiora la trance: ipnotica, disturbante. “Il tempo è un cerchio piatto” è diventato un mantra generazionale.

E poi la musica. La sigla iniziale – Far From Any Road degli Handsome Family – è una dichiarazione d’intenti: polverosa, crepuscolare, malata. Il lavoro di T Bone Burnett sulle atmosfere sonore è chirurgico: amplifica il senso di smarrimento e marcescenza. È colonna vertebrale, non solo colonna sonora.

Un noir filosofico che sfida le regole del genere. Una discesa nell’oscurità con un filo di luce alla fine.
Perché magari... la luce sta vincendo.

Voto: 9/10

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