Recensione Interstellar


Christopher Nolan è andato nello spazio, ma non per cercare alieni o guerre galattiche. È andato là dove si incontrano la scienza e la perdita, la relatività e l’amore, i buchi neri e quelli nell’anima.

Interstellar è uno di quei film che ti si piantano dentro. Una space opera umana, una storia che parte dalla polvere delle campagne americane e arriva oltre le stelle, mentre noi stiamo lì, con Cooper, a cercare di capire come si fa a salvare il mondo senza perdere chi si ama.
È un film che guarda alle stelle e finisce per parlare dei legami più terrestri: quelli tra un padre e una figlia, tra l’uomo e la sua casa, tra il tempo e l’amore.
E lo fa senza perdere mai di vista le emozioni. Quelle vere. Quelle sporche. Quelle che fanno male.
Matthew McConaughey fa il botto: "Murph..." pronunciato con la voce rotta vale tutto il film.

Visivamente, è un’esperienza galattica. Nolan e Hoyte van Hoytema scolpiscono pianeti che sembrano dipinti da Dio, e Zimmer ti prende e ti trascina via. Organo a canne, cuore che batte.
A volte le spiegazioni si allungano troppo, sembrano più un Ted Talk che una scena di un film, ma ci sta: Interstellar è una narrazione che osa, che rischia, che vuole emozionarti.

È un film monumentale, forse imperfetto, ma con un cuore potentissimo. E Nolan, sotto quella freddezza che spesso gli si imputa, qui mostra una vulnerabilità vera.
Un film che si sente, più che si capisce.

Voto: 9.5/10

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