La città proibita – recensione
Mainetti torna e si diverte. Ma non solo lui. La città proibita è un film libero, fuori dagli schemi, fuori dal tempo. Un pasticcio? No, un’orgia controllata di generi, colori e trovate. E se a tratti sembra troppo, lo è apposta.
Siamo
lontani dal realismo, e pure dal cinecomic. Questo è teatro, è opera buffa, gioca con
trovate ironiche e si traveste da western all’italiana. Mainetti mette tutto in scena con
consapevolezza, come un bambino che gioca con l’action figure ma ha studiato i
classici.
Il film ha
ritmo, ha stile, e ha una sua idea precisa di cinema. Tra Leone e Tarantino, ma
anche tra Monicelli e Tsui Hark. Il rischio era il caos, ma alla fine tutto
torna: ogni eccesso è calcolato, ogni battuta è consapevole. Non tutto
funziona, ma niente è lasciato al caso.
Il cast è
scatenato, gli stunt sono veri, la messa in scena è tutta pensata. Le sequenze
di combattimento all’inizio, prima che compaia il titolo, sono già un manifesto
d’intenti. E durante il film, tornano più volte a segnare il ritmo.
Soprattutto,
c’è una voglia di fare cinema che trabocca da ogni scena. E questo, oggi, vale
già tanto.
Voto: 7,5/10
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