Oppenheimer (2023) – Recensione


Con Oppenheimer, Christopher Nolan firma il suo film più complesso e denso. Un'opera monumentale che racconta la nascita della bomba atomica, ma ancora di più il peso morale che schiaccia chi l’ha creata.
La struttura narrativa è frammentata e stratificata: salti temporali, punti di vista multipli, colori che cambiano (bianco e nero per il "fatto", colore per il "punto di vista"). Nolan costruisce un mosaico di memoria, colpa e gloria, dove ogni pezzo trova posto solo nel finale.
Cillian Murphy è straordinario: il suo Oppenheimer è fragile, geniale, divorato dal senso di responsabilità. Il cast attorno a lui regge il peso di una storia così travolgente, ma è la sua performance il vero cuore del film.
Tecnicamente, è un film costruito come un orologio pronto ad esplodere: montaggio serrato, suono assordante, musica di Ludwig Göransson che spinge la tensione al massimo. Nolan sceglie di evitare la CGI anche nelle scene più spettacolari, aumentando l'impatto fisico e realistico delle esplosioni.
Oppenheimer non è solo un biopic: è una riflessione sul potere, sulla scienza, sulla coscienza. Non ha paura di essere verboso, difficile, denso. Non cerca scorciatoie emotive: ti chiede attenzione, pazienza e fiducia.
Se accetti le sue regole, Oppenheimer ti ripaga con una delle esperienze cinematografiche più potenti e mature degli ultimi anni.

Voto: 10/10

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