The Machinist – Recensione


Ci sono film che non si limitano a raccontare una storia, ma ti trascinano in un vortice di inquietudine e alienazione. The Machinist di Brad Anderson appartiene a questa categoria. Un thriller psicologico che sembra un incubo a occhi aperti, un viaggio nella mente di un uomo consumato dalla colpa e dall’insonnia.

Trevor Reznik (Christian Bale) non dorme da un anno. Il suo corpo scheletrico – risultato di una trasformazione fisica impressionante da parte di Bale – è la prima manifestazione visibile di un tormento interiore che si insinua in ogni scena. Il mondo attorno a lui sembra sbiadito, irreale, come se la realtà stessa fosse instabile. La fotografia fredda e desaturata accentua la sensazione di disagio, mentre la colonna sonora minimalista di Roque Baños aggiunge tensione e malinconia.

Il film gioca con la percezione, lasciando lo spettatore in bilico tra allucinazione e verità. Anderson costruisce la narrazione con una precisione chirurgica, disseminando dettagli che solo a posteriori assumono un senso preciso. Ogni elemento, dall’enigmatico Ivan alla misteriosa nota lasciata sul frigorifero, contribuisce a un puzzle che si svela lentamente, fino a un finale tanto devastante quanto inevitabile.

The Machinist richiama atmosfere alla Polanski e alla Lynch, ma mantiene una propria identità. Non è solo un thriller, ma un film che esplora il senso di colpa e l’auto-punizione con una forza viscerale. Bale offre una delle interpretazioni più estreme della sua carriera, riuscendo a trasmettere la disperazione di un uomo che non sa più distinguere il sogno dalla realtà.

Un’opera disturbante e ipnotica, capace di lasciare il segno.

Voto: 9/10.

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