Parasite – Recensione
Bong Joon-ho con Parasite ha fatto la storia agli Oscar e ha tirato un film che si incastra perfettamente tra il thriller, la satira sociale e la black comedy. Una storia di inganni e sopravvivenza, che mostra senza filtri le disuguaglianze tra classi, un gioco al massacro che diverte e inquieta allo stesso tempo.
La famiglia
Kim vive di espedienti in un seminterrato lurido, finché il figlio Ki-woo (Choi
Woo-shik) non trova il modo di infiltrarsi nella vita dei ricchissimi Park. Uno
alla volta, i Kim si insinuano nella casa perfetta dei Park, spacciandosi per
esperti nel loro campo. Ma la scalata si trasforma presto in una discesa agli
inferi, con colpi di scena sempre più devastanti.
Bong Joon-ho
dirige con una precisione chirurgica, alternando momenti di pura tensione a
sprazzi di umorismo nero. Ogni inquadratura è studiata per raccontare la
distanza tra ricchi e poveri: la verticalità della casa dei Park contro il
sotterraneo dei Kim, la pioggia che per alcuni è suggestiva e per altri
un’alluvione che li sommerge. Il cast è semplicemente perfetto, con Song
Kang-ho che dà un'interpretazione memorabile nei panni del padre Kim.
Il finale è
un pugno nello stomaco, lasciando una riflessione amara su un mondo in cui la
mobilità sociale è solo un’illusione. Parasite è un capolavoro che
mescola generi e significati con una maestria rara, un film che rimane impresso
ben oltre i titoli di coda.
Voto: 9/10
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