Lo chiamavano Jeeg Robot – Recensione


Un supereroe a Tor Bella Monaca. Detta così sembra una roba assurda, ma Gabriele Mainetti con Lo chiamavano Jeeg Robot tira fuori un cinecomic che non ha nulla da invidiare a quelli americani, anzi. Qui non ci sono città perfette, tute lucide o cattivi da fumetto: c’è Roma, sporca e violenta, con un protagonista che non ha il fisico da eroe e neanche la mentalità.

Claudio Santamaria è Enzo, un piccolo criminale che, dopo essere caduto nel Tevere, si ritrova con una forza sovrumana. Ma invece di lanciarsi a salvare il mondo, lui fa quello che farebbe chiunque: usa i poteri per fare soldi. Solo che poi arriva Alessia (Ilenia Pastorelli), convinta che lui sia il vero Jeeg Robot. Ma il re della scena è Luca Marinelli. Lo Zingaro è uno dei cattivi più memorabili che il cinema italiano abbia mai sfornato. Psicopatico, narcisista, a metà tra un gangster e una rockstar fallita.

Mainetti dirige con mestiere, senza mai strafare, e il film riesce a mantenere un equilibrio raro: è tamarro senza essere ridicolo, sentimentale senza essere stucchevole. Mescola il genere supereroistico con un tocco di malinconia, con botte, sangue e un'atmosfera cruda e realistica. La colonna sonora, tra musiche epiche e canzoni anni '80, dà al tutto una personalità unica. Certo, qualche limite di budget si sente, gli effetti speciali non sempre convincono, alcune sequenze d’azione avrebbero potuto avere più impatto e il terzo atto non è esplosivo come potrebbe, ma il film funziona perché ha un cuore, cosa che manca a tanti blockbuster infiocchettati.

Lo chiamavano Jeeg Robot è uno dei migliori film di genere che il nostro cinema abbia prodotto negli ultimi anni.

Voto: 8/10


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